Reale irrealtà

Data
26 Nov 2022
Autore
Michela Luce
Reale irrealtà

Irreale Realtà

Mario Ricci e la Galleria Luce

(Impressioni a margine della presentazione delle opere dell'artista romano a Venezia, maggio 2017)


Come in una calle veneziana i panni variopinti stesi al sole stuzzicano la vista quasi a cercare un ordine nella casualità della biancheria appesa, così nello studio di Mario Ricci, di fronte ai singoli pezzi smontati e appoggiati sui cavalletti si intuisce che il disordine è solo apparente, in attesa di essere risolto secondo una sequenza ben definita, quasi aritmetica.

Appesi seguendo un rigore cromatico, fanno tutti parte di un progetto in fieri che si definisce soltanto quando la griglia compositiva viene ricostruita seguendo la successione numerica stabilita a priori dall'artista, che li ha numerati pezzo a pezzo.

Frutto di un lavoro artigianale quanto mentale, dunque, i quadri di Mario Ricci nascono da una ricerca che parte dal vuoto per generare il pieno e che si materializza nell'assoluto di luce e colore.

Sono quello che non sembrano, sembrano quanto non sono. In un pirandelliano incrocio di realtà irreale rivelano la centralità della vista come responsabile dell'inganno che da ottico diviene mentale.

In apparenza estroflessioni della superficie, tela o tavola, in realtà volumetriche finzioni create da perfette sfumature cromatiche. Il pennello “costruisce” il volume sui vuoti, come lo scalpello “definiva” sui pieni.

Nel rigore con cui assembla le singole parti che danno vita al tutto, Ricci alterna questa tridimensionalità simulata con monocromi perfetti. Tutto in un gioco di incastri che fa diventare il retro dei suoi quadri dei cruciverba numerati.

Ma cosa si nasconde dietro a questi trompe-l'oeil di pura astrazione?

La sua ricerca parte lontano, da quel Rinascimento toscano che portava l'uomo al centro dell'opera nel suo nuovo rapporto con lo spazio, tanto che la fruizione dello stesso presupponeva un coinvolgimento visivo che lo risucchiava al suo interno.

Così il punto di vista dell'osservatore andava oltre la superficie del quadro e grazie a molteplici punti di fuga rendeva possibili più punti di vista.

E se in Masaccio la prospettiva aveva un ruolo fondamentale per coinvolgere lo spettatore inghiottendolo nel quadro come ne fosse parte, in Piero della Francesca lo stesso effetto era creato da una piena consapevolezza del ruolo costruttivo della luce che diveniva asse portante.

Da qui sente di discendere Ricci, tanto che la sua volumetria sporgente, azzardiamo, rimanda alla griglia architettonica improntata ai rigori della sezione aurea ben visibile nella Flagellazione di Urbino. Luce prospettica e mentale, nel maestro di Borgo San Sepolcro, luce come perno cromaticamente sfumato, nell'artista di Genazzano. E non è un accostamento pretestuoso, ma frutto di uno studio che Ricci ha iniziato all'Accademia, dove si è costruito le fondamenta, proseguendo a contatto con la contemporaneità che lo ha avvicinato a Burri, al concettuale di Manzoni, fino allo Spazialismo puro di Fontana.

Maestri che hanno indagato diverse modalità di rapportarsi allo spazio, attraverso la materia, il pensiero, il gesto. Fino a convergere sempre nel rapporto dell'io con l'altro da sé.

Un filo ideale che porta Ricci a Venezia, sulla scia di quella luce-colore che in Laguna risaliva al Rinascimento belliniano, attraverso il luminismo del Veronese fatto di accostamenti complementari, passando per il Tiepolo, fino a Guidi, che minimizzò il colore in atmosferiche evanescenze e Deluigi, che “grattò” invece la tela per tirare fuori il bianco dal fondo; ricerche sviluppate in chiave spaziale cui Ricci sembra inconsapevolmente ricollegarsi.

L'occhio nel frattempo indaga.

Non sembra esaurirsi qui la ricerca di Ricci tanto che, certe vibrazioni luministiche giocate sui colori freddi sembrano, a nostro parere, riallacciarlo al filone optical di Vasarely e Le Parc, per ricongiungersi nel contesto veneziano con un altro spazialista, quell'Ennio Finzi partito anch'egli dall'Accademia.

Venezia, dunque, come tappa ideale dove confluiscono molteplici rimandi e dove Ricci ha presentato nel maggio del 2017 per la prima volta nello spazio della Galleria Luce a fianco del Teatro la Fenice, una selezione di suoi lavori frutto degli ultimi anni e che in modo intrigante si collocano sulla scia di un filone partito lontano.


Michela Luce